Chiesa Cattolica – Italiana

Alto Karabakh: 120 mila armeni sempre più isolati

Michele Raviart – Città del Vaticano

Rimane critica la situazione di 120 mila armeni nell’Alto Karabakh, sempre più isolati a causa del blocco del corridoio di Lachin, l’unica strada che collega questo territorio con l’Armenia. Una situazione che va avanti almeno dal dicembre dello scorso anno, quando sedicenti manifestanti ambientalisti azeri organizzarono un posto di blocco per protestare contro le attività minerarie in due siti nel territorio armeno. Da allora la libertà di transito, prevista da un accordo di tregua del novembre 2020 e formalmente garantita da duemila soldati russi, non è stata più rispettata.

Si stanno esaurendo le scorte di cibo

Nella repubblica di Artsakh, come gli armeni chiamano il territorio dell’Alto Karabakh, non arrivano più le 400 tonnellate di merci che quotidianamente giungevano dall’Armenia e il cibo nei negozi sta scarseggiando. Il governo locale ha istituito una tessera annonaria per gli acquisti calmierati di generi alimentari e sta attingendo a scorte statali destinate a esaurirsi nel giro di pochi giorni. Per la mancanza di cibo sono stati chiusi anche asili e nidi per l’infanzia. “È la prima volta che si arriva a un blocco di questo livello e la gente non era preparata”, spiega la scrittrice italiana di origine armena Antonia Arslan. “Sono gente di montagna e qualche riserva la hanno, ma si va verso il razionamento, che è già attivo per i generi di prima necessità – sottolinea – prima il corridoio era stato interrotto più di una volta, ma per 24 ore o un giorno e mezzo”.

Ascolta l’intervista ad Antonia Arslan

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/01/16/12/136880317_F136880317.mp3

Solo alcuni malati gravi riescono ad uscire

Stanno per terminare anche i medicinali e sono state sospese tutte le operazioni chirurgiche programmate, in un’area in cui vivono 30 mila ragazzi e 20 mila anziani. Solo dopo la pressione del Consiglio d’Europa e della Croce Rossa internazionale, seguite alla morte di un malato grave in un ospedale a Stepanakert, alcuni pazienti vengono trasferiti con dei convogli speciali in centri specialistici in Armenia. Nessuno infatti può lasciare o raggiungere il territorio, con la situazione paradossale di circa un migliaio di persone – tra cui alcune decine di bambini – che il 12 dicembre scorso erano nella capitale armena Yerevan per assistere alla finale dell’Eurovision Song Contest Junior e che ora non riescono a rientrare a casa loro e ricongiungersi con le proprie famiglie. “Hanno dovuto passare il Natale in condizioni veramente precarie”, spiega Siobhan Nash-Marshall, docente di filosofia e saggista. “Sono in condizioni difficili e più sono lì più viene l’angoscia di sapere cosa succede ai loro genitori, sapendo che non possono neanche avere i medicinali. E’ una crisi umanitaria a pieno titolo”. Altre 1..500 persone sono invece bloccate nell’Alto Karabakh e non possono tornare in Armenia.

Ascolta l’intervista a Siobhan Nash-Marshall

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/01/16/12/136880309_F136880309.mp3

Una crisi anche economica

Pochi i veicoli in circolazione a causa del poco carburante, mentre per giorni è stata interrotta la rete elettrica. Alla società armena che dovrebbe riparare il guasto non è stato permesso il transito e le piccole centrali idroelettriche presenti nell’Artsakh garantiscono l’elettricità solo per poche ore al giorno. A causa della difficile situazione economica quasi il 20% delle imprese nel territorio hanno cessato le attività e almeno 3.400 persone hanno perso il loro impiego

L’appello di Papa Francesco all’Angelus

Numerosi sono stati gli appelli per sbloccare questa crisi umanitaria, tra cui quello di Papa Francesco all’Angelus del 18 dicembre scorso. “Mi preoccupa la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso Meridionale”, aveva detto il Pontefice:“In particolare sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni, che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale. Chiedo a tutti coloro che sono coinvolti di impegnarsi a trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone.

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