Aleppo, la mobilitazione cristiana per i più poveri

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Prima della guerra, Aleppo era la città più popolosa della Siria, anche più della capitale Damasco. Oggi non è più così: i siriani che sono partiti per cercare un futuro migliore all’estero hanno svuotato la città, che secondo una recente stima ha circa 1,8 milioni di abitanti rispetto ai 4,6 milioni del 2010. In effetti, basta guardare le finestre per vedere il numero impressionante di appartamenti vuoti e abbandonati. La guerra lascerà tracce profonde, visibili e non, nel cuore della città per gli anni a venire.

Case bombardate e completamente distrutte

Quando si arriva da sud, non si notano immediatamente gli effetti distruttivi dei bombardamenti. Durante la guerra, l’esercito siriano ha occupato la zona meridionale della città, mentre i “ribelli” e i “terroristi” hanno occupato i quartieri settentrionali. “Nel sud, non si vede la distruzione – spiega un abitante del posto che vuole rimanere anonimo – perché i terroristi erano meno equipaggiati dell’esercito regolare, avevano meno armi pesanti, quindi hanno fatto meno danni”. “Al contrario – continua – se si va al nord, si vedranno le conseguenze dei bombardamenti aerei dell’esercito russo venuti a sostegno dell’esercito siriano”. L’uomo spiega che è abbastanza facile riconoscere una casa bombardata dal cielo da un’altra danneggiata da un razzo: “Le bombe lanciate dagli aerei appiattiscono totalmente gli edifici, come una torta millefoglie”.

Colpita anche la comunità delle Carmelitane

Una piccola idea delle armi utilizzate ce la danno le religiose carmelitane di Aleppo che, la sera del 22 ottobre 2016, hanno sentito un fischio nell’aria. Suor Anne-Françoise, la superiora, ricorda ancora il missile lungo sei metri, che finì piantato nel giardino del convento senza esplodere. Non si sa da dove provenisse, gli sminatori siriani venuti ad estrarre il dispositivo non hanno rivelato nulla. Ma la religiosa assicura di essere stata protetta da San Giovanni Paolo II, la cui memoria liturgica ricorreva proprio quel giorno.

La fratellanza, antidoto alla distruzione della guerra

Ma il dramma si respira principalmente nella città vecchia, o almeno in ciò che ne rimane. Il quartiere, riconosciuto come patrimonio mondiale dell’Unesco, non esiste più. In effetti, la città vecchia è finita nel fuoco incrociato tra le diverse parti in conflitto. Nulla è stato ricostruito. Le macerie sono ancora lì, accumulate ai lati della strada per consentire il traffico. Le stradine del centro storico sono diventate sentieri fiancheggiati da cumuli di pietre e ogni tipo di spazzatura: plastica, lattine… La condizione degli abitanti di Aleppo è tale che ciò che certamente conta oggi è l’aiuto reciproco, la fratellanza. Tra cristiani, tra cristiani e musulmani, semplicemente tra le persone. La pulizia della città e dei campi circostanti può aspettare, purtroppo.

La testimonianza di padre Hugo Fabian Alvaniz

Nel quartiere più povero di Aleppo, che durante l’assedio era la “zona rossa” da cui nessuno poteva entrare o uscire sia a causa dei posti di blocco, sia a causa dei cecchini appostati negli edifici delle vicinanze, vive da quattro anni un sacerdote argentino. Si chiama Hugo Fabian Alvaniz, ha ricostruito la sua chiesa e sta gradualmente espandendo la sua parrocchia. Certamente padre Hugo non ha manie di grandezza, ma aiuta così tante famiglie che espandersi è una necessità. Ogni giorno, nel seminterrato convertito della parrocchia, infatti, la comunità di volontari accoglie i bambini per un servizio di tutor scolastico. Ci sono laboratori di cucito, di cucina e ogni sorta di attività utili per le 1.200 famiglie che la parrocchia del sacerdote argentino aiuta ogni giorno.

Piccoli “miracoli” quotidiani

Il laboratorio di cucina, in particolare, prepara pasti caldi che vengono anche consegnati a domicilio. La scuola di sartoria, invece, rende i vestiti riutilizzabili. Non si spreca nulla. Come fa con così poco? È quasi un miracolo quotidiano. Quattro anni fa, quando ha iniziato, padre Hugo si occupava di 24 bambini. Oggi ce ne sono più di 500. “Grazie al passaparola, le famiglie sanno che siamo qui”, dice. La parrocchia accoglie anche i sordi e gli audiolesi, è un alveare di attività dalla mattina alla sera, un vero luogo di vita e di fede.

L’associazione “Una goccia di latte”

C’è poi l’associazione “Una goccia di latte” che si trova in una piccola strada di Aleppo. È unica nel suo genere, ed è gestita dai Padri Maristi. Esternamente si vede una piccola e discreta vetrina; all’interno, due giovani in maglietta azzurra. All’apparenza, niente di speciale. Ma questa associazione fornisce, ogni mese, un kg di latte in polvere a 3mila famiglie con bambini piccoli, e latte condensato per i neonati. È l’unica in tutta la città ad offrire un tale servizio. Il latte è fuori portata per la maggior parte delle persone: a 12mila sterline siriane al kg, su un salario medio di 65-70mila sterline, il latte in polvere è decisamente troppo costoso. I giovani dell’associazione sono anche molto attenti al loro metodo di distribuzione: ogni beneficiario è registrato in modo da non ricevere più della quantità assegnata, e ogni chilogrammo donato viene aperto per evitare che venga rivenduto. A questo prezzo, il latte in polvere è praticamente “oro bianco”.

La solidarietà della Chiesa apostolica armena 

L’impegno di tutte le chiese cristiane coinvolge, ovviamente, anche la comunità apostolica armena. Davanti alla loro cattedrale, gli armeni ortodossi distribuiscono ogni giorno pasti caldi agli anziani. La maggior parte dei beneficiari appartengono alla stessa comunità armena, ma anche in questo caso, ai poveri non viene chiesta la loro religione: vengono aiutati, punto e basta. Nei locali della parrocchia, i volontari sono impegnati in cucina a preparare specialità armene, che vengono impacchettate, imbustate e distribuite davanti alla porta dove un buon numero di pensionati è in fila, anche per una chiacchierata. Tutte queste persone sono di una dignità esemplare, ben vestite, le signore hanno i capelli sistemati, nulla fa pensare che siano in una situazione di grande indigenza. “I poveri non chiedono mai”, confida un religioso. “Accettano l’aiuto, ma non vengono a mendicare”. Questo perché si tratta di persone che prima della guerra erano benestanti, come dimostrano il loro abbigliamento e il loro livello di istruzione. Ma dopo dieci anni di conflitto e cinque anni di crisi economica, non hanno più nulla.

Un orfanotrofio per bambini e ragazzi

Al primo piano della cattedrale, la comunità armena ha aperto anche un orfanotrofio per 38 ragazzi e ragazze tra gli 8 e i 22 anni. Ognuno con una storia diversa, un fardello da portare sulle spalle. Marina, 21 anni, è finita qui dopo essere fuggita da Hassaké, nel nord, dove suo padre e suo fratello sono stati uccisi dai miliziani islamisti. Ha altre due sorelle: una vive in Giordania e l’altra a Damasco, ma non sono in condizioni di accoglierla. La loro madre è morta per una grave malattia. In questo orfanotrofio si sono creati dei legami molto forti, i bambini si considerano come fratelli e sorelle, e chiamano i membri del personale “zii”. Quelli che hanno lasciato l’istituto e sono ancora in Siria, spesso tornano qui per le vacanze; gli ex residenti che sono andati a vivere all’estero, invece, mandano soldi per sostenere la struttura.

Gli aiuti della Chiesa greco-ortodossa

Non lontano dalla cattedrale armena, si è organizzata anche la Chiesa greco-ortodossa. La coda di persone inizia sul marciapiede: all’interno viene distribuito del denaro per le famiglie bisognose. I volontari hanno anche appena ricevuto una consegna di scarpe calde per l’inverno. “Tutto quello che si può fare, è stato fatto”, dice un funzionario del centro mentre apre una busta contenente 47mila sterline siriane donate ad una persona anziana. Non molto, quando si sa che un chilo di carne costa di più, e che in assenza di elettricità, bisogna comprare “ampere” a 15mila sterline per ampere alla settimana dai proprietari dei generatori collettivi, appena sufficienti per accendere qualche lampadina, ma non abbastanza per il forno o la lavatrice. Ogni giorno vengono distribuiti anche 800 pasti e il 70 per cento delle persone aiutate ha più di settant’anni. I più giovani sono già andati via, gli anziani cercano di sopravvivere. Aleppo aveva 300mila cristiani prima della guerra, ora ne rimangono solo 20mila. L’aiuto delle Chiese è quindi fondamentale per la gente del posto.