Abusi, Herranz: la Chiesa come un nuovo “Ecce Homo” dinanzi al mondo

Vatican News

di Julián Herranz*

Stimato e caro Direttore, pur nella consapevolezza della scarsa attenzione che possano meritare le parole di un anziano cardinale, mi permetto anch’io — alla luce di alcuni fatti che stanno destando in questi giorni molto scalpore — di fare qualche sommessa considerazione sul terribile delitto di pedofilia nella Chiesa, nonché sulle relative responsabilità di carattere personale e istituzionale. Lo faccio non solo perché nel passato anche recente ho collaborato nella Santa Sede nell’affrontare dal punto di vista giuridico e pastorale questo gravissimo problema, ma anche perché esso rischia di minare nell’opinione pubblica e forse anche nelle coscienze dei fedeli la credibilità della Chiesa e del suo Messaggio evangelico.

 Sembra ovvio, ancor di più dopo la riforma del diritto penale in materia promulgata da Benedetto xvi e soprattutto da Papa Francesco, il carattere personale di questo abominevole atto umano, grave peccato esterno e delitto, commesso da un chierico (diacono, presbitero, vescovo o cardinale), o, come stabilito nella recente Costituzione apostolica Pascite Gregem Dei, da un religioso o una religiosa, oppure qualunque fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella Chiesa. Ma, pur essendo particolarmente doloroso per la comunità dei fedeli, pare evidente che avrebbe anche carattere personale, il delitto dell’Ordinario secolare o religioso che silenzia o copre la denuncia di uno o più atti di pederastia, oppure tralascia irresponsabilmente le chiare norme processuali previste dal diritto della Chiesa per salvaguardare i diritti dei denuncianti, delle vittime e degli accusati. Non si tratta di vedere se il vescovo o superiore “riconosce” o “accetta” la sua responsabilità: questa responsabilità personale morale e giuridica c’è, non la si può attribuire semplicemente ad altri, predecessori o colleghi.

È vero che nel caso del delitto o errore del vescovo, la vergogna dei fedeli e talvolta anche la responsabilità economica potranno ricadere sull’insieme del relativo ente ecclesiastico, ma questo non può indurre a negare o mettere in dubbio la legittimità giuridica e la bontà morale dei fini istituzionali della diocesi. Ancora molto meno logico sarebbe mettere in dubbio, nonostante gli errori, i peccati e talvolta anche i delitti dei suoi membri, incluso di alti componenti della Gerarchia, la credibilità della Chiesa e il valore salvifico della sua missione e del suo magistero. Sarebbe invece ingenuo ignorare che, specialmente nella presente congiuntura storica, i “poteri forti” di questo mondo cercano di approfittare delle debolezze dell’elemento umano della Chiesa per screditarla dinanzi all’opinione pubblica mondiale.

 Appare evidente che difendere la Chiesa “Corpo di Cristo” (1 Cor 12, 27), ridotto dai peccati dei suoi membri, dai nostri peccati, come un nuovo “Ecce Homo” dinanzi al mondo, non significa un’autodifesa scontata e clericale. Non si tratta di proteggere un’immagine “narcisista” di potere e di prestigio mondano di una Chiesa che si difende dimenticando l’umiltà, ma di riaffermare la divinità della sua origine, la santità dei sacramenti da essa offerti e la perenne attualità e credibilità del Messaggio cristiano di salvezza. Resta sempre attuale l’ammonimento di san Cipriano, secondo il quale se dobbiamo amare Dio, dobbiamo amare anche la Chiesa: «Perché non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre» (Sull’unità, 6, 8). In effetti, malgrado la peccaminosità del suo aspetto umano (ma nella Chiesa ci sono innumerevoli figli santi), la Chiesa è la Madre che comunica la vita: la “vita, verità e via” di Cristo, grazie alla quale siamo figli del Padre. Perciò, rivolgendosi ai giovani dopo il Sinodo a loro dedicato, Papa Francesco ha affermato: la Chiesa «non ha paura di mostrare i peccati dei suoi membri, che talvolta alcuni di loro cercano di nascondere […]. Ricordiamoci però che non si abbandona la Madre quando è ferita, al contrario, la si accompagna affinché tragga da sé tutta la sua forza e la sua capacità di cominciare sempre di nuovo» (Esortazione Apostolica, Christus vivit, n. 101), «per aprirsi a una nuova Pentecoste e […] una rinnovata giovinezza» (ibidem, n. 102).

 Ringraziandola per l’attenzione che presterà a queste mie considerazioni, la saluto con viva cordialità.

* Presidente emerito del Pontificio Consiglio per i testi legislativi