A pochi centimetri dalla Bellezza

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Paolo Ondarza – Città del Vaticano

In origine fu il “mundator”.  Era l’addetto a provvedere alla cura delle pitture della Cappella Sistina e delle adiacenti Cappella Paolina e Sala Regia. Questa figura fu istituita con motu proprio da Paolo III Farnese nel 1543 e rivela l’attenzione da sempre rivolta dalla Chiesa, e nello specifico dai Musei Vaticani, per preservare, condividere e far conoscere l’inestimabile patrimonio di cultura, storia, bellezza e fede, che i Papi hanno raccolto e custodito nei secoli.  

Il “mundator”

Michelangelo aveva deposto i pennelli del Giudizio Universale da poco più di un anno, quando Paolo III volle assicurarsi che quell’inimitabile pagina di teologia dipinta fosse spolverata periodicamente, e mantenendo immutato il suo splendore. L’incarico di rimuovere dalle pareti accumuli di polveri e fumi – “a pulveribus et aliis imuniditiis prefatis mundare ed a mundatis tenere omni cum diligentia” – venne affidato a Francesco Amadori, detto l’Urbino, aiutante del Buonarroti nella Cappella Sistina. Anche nei secoli successivi le superfici dipinte del Sacellum Sixtinum furono ciclicamente pulite con mollica di pane inumidita o spugne imbevute di vino greco.

La manutenzione di un capolavoro

La pratica di una manutenzione costante scomparve nei primi del Novecento. Solo l’istituzione del Laboratorio di Restauro delle Pitture perseguita nel 1923 da Biagio Biagetti, allora Direttore delle Pitture delle Gallerie Pontificie, inaugurò una nuova stagione di attenzione costante ai temi della conservazione preventiva e alla programmazione di regolari campagne di spolveratura di tutte le opere pittoriche delle collezioni vaticane. Erede diretto del “mundator” è oggi l’“Ufficio del Conservatore”: istituito nel 2008 grazie all’intuizione dell’allora direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, ha il compito di curare il sistematico monitoraggio ambientale-climatologico degli spazi espositivi e la manutenzione ordinaria delle opere in mostra o in deposito.

Nel silenzio della notte

Ogni anno, dal 2010, tra la metà di gennaio e quella di febbraio, la direzione dei Musei Vaticani, in accordo con i vertici del Governatorato, la Prefettura della Casa Pontificia e il Maestro delle Cerimonie, mette in opera un programma di revisione delle pitture e degli impianti della Cappella Sistina. Squadre di operatori tecnici e scientifici si alternano la sera, tra le 18.00 e le 23.00, appena usciti i turisti, in un fitto calendario di verifiche e controlli. Il ricorso a due “ragni”, piattaforme mobili dotate di un braccio meccanico, consente di arrivare ad oltre 20 metri di altezza e trovarsi a tu per tu con le pennellate michelangiolesche.

A contatto diretto con la storia

L’emozione è indescrivibile, anche per chi è del mestiere. “È un’esperienza che, benché si rinnovi ogni anno, mantiene inalterata la sua forza”, spiega Vittoria Cimino, responsabile dell’Ufficio del Conservatore dei Musei Vaticani. “Significa in un momento mettere in discussione o in sintesi tutto ciò che abbiamo studiato, pensato e che è presente a livello cognitivo nella nostra testa. Entrare nella Cappella Sistina vuota, solitaria, senza rumore, pone a diretto contatto con la storia, con la storia dell’arte, con il significato teologico di queste magnifiche pitture”.

Emozione e responsabilità

È dello stesso avviso Francesca Persegati, responsabile del Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali Lignei dei Musei Vaticani: “Ogni anno noi del Laboratorio Restauro affrontiamo una porzione di affreschi in modo tale da riuscire a controllare, in un termine circoscritto di anni, l’intera superficie di 2500 metri quadrati. È una grande responsabilità. Quando ci penso emotivamente quasi mi commuovo un po’, mi chiedo se sono degna, soprattutto pensando a grandi personalità che mi hanno preceduta come Biagio Biagetti. Poi la razionalità ci richiama al nostro compito di stabilire un rapporto materiale con l’opera, entrarci dentro, toccarla: questo è sempre un momento di timore che va oltre ogni sapere scientifico. Siamo chiamati a conservare quest’opera e tramandarne il messaggio alle future generazioni. Michelangelo ha usato un buon fresco perché voleva una tecnica duratura come la scultura. Oggi lo stato di conservazione di queste pitture è molto buono”.

Il check up su affreschi unici

Il monitoraggio sistematico è fondamentale: i restauratori vaticani, così come faceva il mundator, rimuovono innanzitutto la polvere, le cui particelle potrebbero altrimenti causare il degrado della superficie muraria. Quindi monitorano la pellicola pittorica, gli intonaci, l’eventuale presenza di distacchi o l’affioramento di sali che vengono asportati con fogli di carta giapponese e acqua distillata applicata con un pennello.

Trenta sensori nascosti

Salire in quota, a bordo del “ragno”, consente quindi un contatto diretto con gli affreschi della volta, ma offre anche la possibilità di verificare il corretto funzionamento dei trenta sensori nascosti sui cornicioni e deputati a monitorare i valori climatici della Sistina. Questa la filosofia che anima il lavoro degli specialisti: “sempre meno restauri e sempre più conservazione preventiva e manutenzione programmata”. Secondo Vittoria Cimino “il restauro non è mai un intervento indolore per l’equilibrio di un’opera d’arte e deve essere eseguito solo quando strettamente necessario”.

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Prevenire per conservare

“Conservare – spiega ancora la responsabile dell’Ufficio del Conservatore – significa mantenere in buone condizioni il patrimonio senza intervenire materialmente. È quindi fondamentale, in maniera continuativa e non episodica, la massima attenzione nei confronti dell’ambiente di conservazione e di esposizione”. Sono oltre 6 milioni i visitatori che ogni anno varcano la soglia della Cappella Sistina. Studiare le interferenze prodotte dalla pressione antropica, le mutazioni di ambiente, clima e temperatura nel trascorrere dei giorni e delle stagioni diviene quindi fondamentale. “I visitatori producono anidride carbonica, vapore acqueo, umidità, calore. Tutti fattori che danneggiano l’opera d’arte che per conservarsi bene dovrebbe vivere in condizioni immutate”. I sensori registrano tutte le variazioni dei parametri all’interno dei diecimila metri cubi di aria della “Cappella Magna”, consentendo di conteggiare, tramite un algoritmo derivante da un sistema di termocamere, il numero di persone presenti nelle varie ore della giornata.  In tal modo si misurano le polveri sospese, la velocità, la direzione e la pressione dell’aria e molto altro ancora. La rete sinottica di sensori è interpellabile da remoto in ogni momento dagli operatori dell’Ufficio del Conservatore.

La migliore aria dei Musei Vaticani

Il risultato del monitoraggio è ogni anno incoraggiante: “L’aria della Cappella Sistina grazie al nuovo impianto di condizionamento e purificazione progettato e messo in opera dai tecnici della società Carrier e quelli della Direzione delle Infrastrutture e dei Servizi del Governatorato”, aggiunge Vittoria Cimino, “è la migliore di tutti i Musei Vaticani. I controlli annuali confermano una situazione di stabilità conservativa. La nostra esperienza”, prosegue, “ci fa affermare che all’interno di un museo la cultura umanistica, storico-artistica e quella tecnico-scientifica debbano necessariamente incontrarsi. A coadiuvare l’occhio allenato dei restauratori viene in aiuto l’esperienza della scienza, al servizio della Bellezza e della Fede”.

Cultura umanistica e scientifica in dialogo

La bontà e la necessità di un dialogo interdisciplinare – umanistico-scientifico – si sono mostrate in modo dirompente quando in anni recenti è stato messo a punto il nuovo sistema di illuminazione a LED della Cappella Sistina che, riuscendo ad eguagliare lo spettro della luce naturale, ha consentito un’interpretazione nuova degli affreschi e una massima valorizzazione del colore steso da Michelangelo.

La ritrovata brillantezza di Michelangelo

Quel colore la cui brillantezza, intuita come sotto una coltre di fumo da Biagetti negli anni Trenta è stato svelato pienamente dal restauro degli anni Novanta del secolo scorso, diretto da Gianluigi Colalucci, recentemente scomparso: “Quel restauro – ricorda Francesca Persegati –ha cambiato la nostra visione su Michelangelo. È emerso non un artista scontroso, scuro, ma un pittore solare che non ricorreva al chiaroscuro per le ombre, ma al colore”. A testimonianza dell’antica patina scura depositatasi nel corso dei secoli sulla superficie pittorica sono stati lasciati ben visibili alcuni tasselli di affresco non restaurati. Perché anche la storia di un capolavoro, raccontata nelle diverse epoche vissute, è un valore da custodire e tramandare.