A Mosul l’impegno dell’Unesco nella ricostruzione del futuro

Vatican News

Massimiliano Menichetti – Città del Vaticano 

Ad incontrare il Papa a Mosul, città simbolo della distruzione e delle sofferenze che causa la guerra, è Paolo Fontani, direttore e rappresentante Unesco in Iraq. Se, come ha detto il Papa proprio tra le macerie di questa città, “la speranza è più forte della morte”, l’Unesco con il suo impegno alla ricostruzione artistico, culturale ma anche abitativa, va in questa direzione. “Ricostruire con le pietre – afferma – è fatto simbolico della ricostruzione dei cuori e la visita del Papa porta speranza in questo senso”. Nelle sue parole il lavoro intrapreso e il messaggio in esso contenuto, con uno sguardo anche al cammino di riconciliazione e di dialogo interreligioso che nella ricostruzione ha una suo tassello importante.

La cultura e il dialogo tra le religioni

L’impegno a Mosul è titanico perché la distruzione è stata titanica spiega Fontani – e tutti gli sforzi sono per ora concentrati sul recupero degli edifici religiosi, cristiani e musulmani, chiese come moschee, un immenso patrimonio. “La città ha bisogno di rinascere  – afferma –  e la visita del Papa a Mosul porta speranza ad un popolo che nonostante le sofferenze patite, ha tanta “voglia di fare”. Fontani illustra anche il dialogo silenzioso e nascosto quasi, che c’è tra edifici di religioni diverse, a dire che un mosaico pacifico di convivenza che in Iraq è sempre esistito e che la violenza degli ultimi anni non riuscirà a offuscare.

Nelle parole del rappresentante Unesco anche il legame che c’è tra il lavoro di ricostruzione in Iraq e l’appuntamento di Abu Dhabi che si è concluso con la firma del Documento sulla fratellanza umana nel 2019. Da allora sono nati progetti congiunti – spiega – che permettono all’Unesco di dare concretezza al cammino di fratellanza tanto auspicato dai leader religiosi. Si tratta di rinsaldare anche con la cultura, i rapporti tra le religioni, spiega Fontani. L’impegno dell’Unesco è infine anche nei nuclei abitativi: “C’è uno sforzo, grazie all’aiuto dell’Ue e degli Emirati – spiega – che ha già permesso di ricostruire 45 case e altre 75 entro questo mese”. Quello che sta più a cuore all’Unesco è “che le persone tornino a vivere insieme e ritrovino la loro identità”.

Ascolta l’intervista a Paolo Fontani

R. – La ricostruzione di Mosul è una cosa titanica: avete visto il livello di distruzione della città. Noi chiaramente vogliamo salvaguardare tutto il possibile del patrimonio: ci sarà una parte che riguarda più il patrimonio religioso e questo comprende la moschea di al-Nouri, il minareto di al-Hadba ma anche due chiese: la chiesa di al-Tahera, nella quale siamo oggi, e la chiesa e il convento di al-Saa’a, “Nostra Signora delle Ore”, che appartiene all’Ordine Domenicano. Sono simboli: sono simboli per la ricostruzione della città, che chiaramente non ha bisogno soltanto di pietre ma ha bisogno anche della ricostruzione nei cuori e nelle anime delle persone. Credo che la visita di oggi sia una visita importante, quella del Papa, qui: porta speranza, porta – a un popolo che ha già voglia di ricostruire – porta ancora più voglia di fare. Noi, come Unesco, costruiamo anche abitazioni, cioè case del patrimonio …

Le due strutture che hai citato prima – la moschea e la chiesa – praticamente si parlano …

R. – Sì … in realtà, ci sono i due: il campanile, che aveva il famoso orologio che ogni 15 minuti suonava e dava un po’ il tempo a tutta Mosul, e dall’altro lato c’era l’iconico minareto, che è lì dal 1180 e che per tutti era un punto di riferimento geografico: si sapeva dove si era nella città di Mosul, guardando dove si era per rapporto al minareto. E i due – il campanile e il minareto – sono a distanza di poche centinaia di metri, e quindi è anche un dialogo religioso, un dialogo di una città che ha sempre avuto la multiculturalità al centro della sua esistenza, per gli ultimi duemila anni. Quindi, quello che è successo è un episodio che è bene cancellare, passare oltre per ritornare a vivere in questo spirito di pace. E’ come direbbe il Papa – ed è l’esempio che utilizziamo, quello della fratellanza umana …

L’azione dell’Unesco è collegata in un certo qual modo all’incontro che il Papa ha avuto ad Abu Dhabi …

R. – Sì: l’incontro del 2019, una visita storica, è stata importante, perché noi già dovevamo lavorare qua con gli Emirati per ricostruire la moschea di al-Nouri e il minareto; in quell’occasione, dopo la visita del Santo Padre, è stato deciso dal governo degli Emirati che l’Unesco avrebbe costruito anche due chiese: penso che sia una sorta di omaggio non soltanto al Santo Padre, ma all’idea stessa del discorso di dialogo fra le religioni.

Un ponte, dunque

R. – Un ponte tra religioni che si è rafforzato anche con il dialogo con al-Azhar, un dialogo importante. Noi siamo qui soltanto per aiutare questo dialogo a costruirsi e, credo, a trasformare un dialogo in un esempio concreto sul terreno. Per esempio, la chiesa di al-Tahera, dove ci troviamo: il nostro ingegnere capo è un musulmano, così come ci sono cristiani che lavorano per la ricostruzione della moschea di al-Nouri. Pensiamo che questo dialogo nelle cose quotidiane, nel giorno, nel lavoro, nel vivere insieme sia una manifestazione tangibile di quello che vogliamo fare.

State ricostruendo anche le abitazioni …

R. – Sì, stiamo rifacendo le abitazioni: in questo caso soprattutto attraverso l’aiuto dell’Unione Europea che ha finanziato, molto generosamente, anche, come già gli Emirati; in questo momento, in una prima fase, abbiamo incominciato con 45 case; questo mese ne incominciamo altre 75. In realtà, parlando di ponti, quello che stiamo cercando di creare è proprio un percorso del patrimonio, fisico e non solamente virtuale, tra la moschea di al-Nouri e la chiesa di al-Tahera. Quindi, stiamo creando anche una pavimentazione che verrà fatta in quello che da noi si chiamerebbe “sampietrino” e che rispecchia un po’ quello che era il patrimonio storico di una volta: quindi, fisicamente si potrà camminare da al-Nouri ad al-Tahera, le due ricostruite, attraverso un percorso simboleggiato anche dalla ricostruzione di case e del patrimonio di quella che era una città comunque abbastanza grande, con un centro storico molto importante.

Che cosa è particolarmente importante per voi?

R. – Per l’Unesco, quello che è importante, chiaramente, è non soltanto ed esclusivamente il patrimonio: il patrimonio è soltanto il simbolo di un’identità culturale. Quello che siamo qui per fare è fare in modo che le persone possano ritrovare la loro identità, possano ricominciare a vivere insieme e anche, dobbiamo dire, c’è un aspetto economico in tutto questo: noi vogliamo dimostrare che la cultura e il patrimonio possono diventare un volano per lo sviluppo economico. Abbiamo già impiegato finora 800 persone nei cantieri; ce ne sono 250 che lavorano in questi giorni soltanto per la ricostruzione delle case. E alla fine di questi due-tre anni, avremo impiegato più di 2-3 mila persone. Penso che sia importante. Poi, stiamo utilizzando architetti locali, ingegneri locali, artigiani locali, stiamo riportando indietro alcune maestranze che non esistevano più: nella lavorazione dell’alabastro, del legno … Penso che tutto questo sia veramente legato all’identità della città e quindi si parla, appunto, non soltanto di pietre ma di cuori.