A che punto siamo con la COP26 di Glasgow

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

Giro di boa della COP26, giunta al nono giorno di lavori. Il summit internazionale si concluderà venerdì 12 novembre. In questa fine settimana sono proseguite le manifestazioni di protesta. Nelle strade di Glasgow numerosi giovani chiedono che i grandi della Terra prendano decisioni immediate e concrete per tutelare il pianeta. I lavori si erano aperti con la dichiarazione, firmata da oltre cento Paesi, volta a fermare la deforestazione entro il 2030. La dichiarazione, però, non è vincolante e non prevede sanzioni per chi non la rispetta. 

Le promesse non mantenute

I timori di un fallimento della COP26 erano stati già espressi alla vigilia dal premier britannico Boris Johnson. La dichiarazione sulla deforestazione aveva fatto ben sperare, ma già all’inizio della scorsa settimana, in merito al raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nette, il primo ministro indiano Narendra Modi aveva annunciato che il suo Paese lo avrebbe raggiunto entro il 2070. Ben oltre, dunque, quel 2050 auspicato prima di Glasgow, in parte confermato lo scorso mese al G20 di Roma con la dicitura “entro o intorno metà secolo”. I timori maggiori, però, derivano dalle precedenti riunioni annuali dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Si pensi alla COP4 di Buenos Aires del 1998, con gli Stati Uniti che firmarono il Protocollo di Kyoto (frutto della COP3), poi miseramente naufragato negli anni successivi. Fino alla COP25 di Madrid nel 2019, anch’essa considerata interlocutoria e conclusasi con un nulla di fatto. 

L’appello del Papa 

Intervendo il 2 novembre a Glasgow, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha letto il messaggio scritto da Francesco e indirizzato al presidente della COP26, Alok Sharma. Quella che sta di fronte ai leader mondiali è una sfida di grande portata, aggravata anche dalla pandemia che ha colpito l’umanità. E se il Covid-19, sostiene il Papa, ci ha reso consapevoli che riusciremo a uscirne solo se ci sarà una “profonda e solidale collaborazione tra tutti i popoli del mondo”, anche il contrasto al cambiamento climatico richiede azioni coordinate e responsabili. Da qui l’urgenza di agire ora, con coraggio e responsabilità. Lo si deve soprattutto ai giovani, in debito di fiducia nei nostri confronti, perché il futuro è loro. I giovani che, scrive Francesco, “non avranno un pianeta diverso da quello che noi lasciamo a loro, da quello che potranno ricevere in funzione delle nostre scelte concrete di oggi. Questo è il momento della decisione che dia loro motivi di fiducia nel futuro”. 

Cambiare il sistema economico

Anche se si moltiplicano le voci di chi definisce Glasgow “un fallimento”, ci sono ancora speranze di vedere un accordo importante entro la fine di questa settimana. Lo afferma il fisico Luca Fiorani, docente di Sviluppo sostenibile all’Università Sophia di Loppiano e divulgatore scientifico, nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News. 

Ascolta l’intervista a Luca Fiorani

Ripercorrendo questa prima settimana di COP26, l’iniziale dichiarazione contro la deforestazione aveva fatto ben sperare, poi però non ci sono stati grandi accordi nei giorni successivi. Ha ragione chi parla di fallimento o è presto per dirlo?

Vorrei essere cautamente ottimista, perché alle COP i goal si fanno nei minuti di recupero. Alla COP21, ad esempio, l’Accordo di Parigi è stato raggiunto quando il programma doveva essere già terminato. Speriamo che i Paesi più virtuosi riescano a dare una spinta decisiva in tal senso. La notizia che arriva dagli Stati Uniti è positiva, ovvero che il presidente Biden ha visto approvato dal Congresso il piano di rilancio economico. Ora la Casa Bianca può premere con più forza verso un accordo ambizioso. Va detto poi che sicuramente come società civile, come cristiani dobbiamo continuare a farci sentire, seguendo le indicazioni del Papa e ascoltando il grido della Terra e quello dei poveri.

Questi giovani sono però inclusi o no quando si tratta di decidere, di scegliere? Stiamo parlando di sviluppo sostenibile, di future generazioni. Hanno voce in capitolo?

Sono operazioni estremamente complesse, le decisioni dell’Onu richiedono unanimità. Come dice il Papa è imperativo ascoltare il grido dei poveri, dunque anche dei giovani che hanno diritto ad un pianeta sano, come scritto nella Laudato si’. Ci vuole però un impegno dei Paesi ricchi! Mi spiego: non possiamo chiedere all’India di rinunciare al carbone, quando ha un’economia tale che come Paese emette il 3,2% della CO2, mentre la percentuale degli Stati Uniti è ancora sopra i 20 punti. Occorre un impegno forte dei Paesi ricchi per trasferire tecnologie amiche dell’ambiente, non possiamo chiedere un sacrificio solo ai Paesi più poveri. Mi aspetto che l’Unione Europea si metta alla guida di questo processo virtuoso che dia risposte ai giovani. 

In Madagascar è in corso una drammatica carestia, di fatto la crisi alimentare più grave causata dai cambiamenti climatici. Cosa deve succedere ancora per comprendere che è a rischio il futuro dell’umanità?

Lei tocca un argomento scottante: il Madagascar che non emette CO2 paga per quella che emettiamo noi. Dunque stiamo parlando di equità. Entrando poi più a fondo nella sua domanda, le dico che anche i Paesi ricchi si stanno accorgendo dei cambiamenti climatici. Pensiamo alle inondazioni terribili di questa estate in Germania. Eppure ancora non ce la facciamo, non abbiamo cioè il coraggio di cambiare rotta. Perché? Perchè costa! Economicamente non è vantaggioso. Occorre allora un cambiamento di paradigma, di mentalità. Cito ancora una volta Papa Francesco nel dire che dobbiamo assolutamente abbandonare un modello economico vorace, di corta veduta. Serve un modello economico in cui scegliere l’ambiente sia economicamente vantaggioso. Non possiamo aspettarci che l’ambiente diventi economico. Questo i grandi della Terra lo possono fare, possono cambiare la finanza. Lo possono fare già oggi.