85 anni fa il film “Tempi moderni”, specchio di un mondo che cambia

Vatican News

Andrea De Angelis, Silvia Giovanrosa, Alessandro Guarasci, Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Nel 1929 gli Stati Uniti vivono una crisi economica senza precedenti. In diversi Paesi si è già imposto un modello di produzione industriale, conosciuto con il nome di fordismo, basato principalmente sulla catena di montaggio e sull’utilizzo della tecnologia. Prende forma da queste premesse l’idea centrale di “Tempi moderni”, in cui il protagonista è il personaggio di Charlot. Ed è il 5 febbraio del 1936 quando viene proiettato per la prima volta, al teatro Rivoli di New York, il capolavoro diretto ed interpretato da Charlie Chaplin. Il film descrive, in chiave comica, le alienazioni della modernità ed il conflitto tra l’uomo e la macchina. È il ritratto di un mondo che cambia e riflette alcune angosce peculiari anche del nostro tempo, scosso da profondi mutamenti provocati dalla pandemia. Come 85 anni fa, anche oggi si registrano rapidi mutamenti legati, in particolare, al mondo produttivo e del lavoro. 

La trama del film

Il film si sviluppa intorno alle vicende di un povero lavoratore, interpretato da Charlie Chaplin, impiegato in una azienda. La sua mansione è quella di stringere bulloni: ripete questo gesto meccanicamente e continuamente. Il forte stress lo porta ad uscire di senno ed a manomettere i macchinari della fabbrica. Viene quindi ricoverato in una clinica per essere riabilitato. Una volta dimesso, finisce casualmente a capo di un corteo di manifestanti disoccupati e viene arrestato. In carcere sventa, per un caso fortuito, una rivolta di detenuti e si guadagna la libertà. Stringe infine amicizia con una giovane orfana. Insieme fuggono dalla città per cercare altrove un po’ di tranquillità. Il film è quasi totalmente muto per sottolineare che l’uomo è senza parole di fronte allo strapotere delle macchine. Ma è impreziosito dalla straordinaria interpretazione di Charlie Chaplin che canta la canzone “Je cherche après Titine”. Il testo presenta un miscuglio di parole senza senso. Per la prima volta, il grande pubblico può ascoltare la voce di uno dei più grandi artisti cinematografici di tutti i tempi. 

Ascolta “Je cherche après Titine” cantata da Charlie Chaplin

Charlie Chaplin

“Ricordo una sera a Londra nella stanzetta del nostro seminterrato, io, convalescente a letto, e mia madre. Ella leggeva, recitava e spiegava il Nuovo Testamento in un modo inimitabile, trasmettendomi l’amore e la pietà di Cristo per i poveri e i bambini”. È questo un passaggio della autobiografia del 1964 in cui Charlie Chaplin si sofferma sulla sua difficile infanzia. Nato nel 1889 nei sobborghi di Londra, fa i primi passi nel cinema già nel 1914. In quel periodo nasce il suo personaggio più famoso: Charlot, un vagabondo che diventa il protagonista di molti cortometraggi e film tra cui, nel 1936, “Tempi moderni”. 

Tra gli ospiti di questa puntata, una voce nota della Radio Vaticana: Rosario Tronnolone. Giornalista, regista, grande esperto di cinema, nel corso della trasmissione sottolinea come “stupisca la straordinaria modernità di questo film, che ancora oggi incollerebbe gli spettatori alle poltrone”. Nel personaggio del vagabondo “emerge una straordinaria umanità, un uomo debole che però ha in sé una poesia, non solo legata alla musicalità della scena, ma alla purezza ed alla bontà che dimostra. La definirei – afferma – una nobiltà”. Per Chaplin il cinema era “una lingua delle immagini. Non aveva bisogno del suono, se non come momento di estraniamento, di qualcosa che non è umano. Anche la voce del padrone, che nel film parla attraverso lo schermo, ha un senso in qualche modo demoniaco, non umano”.  

CLICCA QUI PER ASCOLTARE IL PODCAST DELLA PUNTATA DI DOPPIO CLICK

Tornando alla figura del vagabondo, lo studioso di cinema Eusebio Ciccotti scrive in un articolo pubblicato su Avvenire: “Chaplin con la creazione del personaggio di Charlot, il tenero vagabondo, il timido reietto, il clochard educato, dava vita ad una originale figura Christi: povera, solitaria, pronta ad amare il prossimo, inclusi gli animali randagi”. La vita dell’attore è stata scandita anche da gesti generosi. Nel 1954 dona, ad esempio, due milioni di franchi all’abbé Pierre, fondatore della Comunità Emmaus, per i poveri di Parigi. Sono i soldi di un Premio ricevuto da Charlie Chaplin nel corso di quell’anno. “Non li dono – ha poi spiegato l’attore e regista – ma li rendo. Appartengono al vagabondo che sono stato”. Due Oscar alla carriera ed oltre un centinaio di film, Chaplin muore il 25 dicembre 1977 in Svizzera. La sua eredità artistica e culturale è un patrimonio inestimabile. Il suo genio ha alimentato, nel corso degli anni, la creatività di molti artisti. Al personaggio di Charlot si è ispirato, ad esempio, il celebre attore italiano Antonio de Curtis per le storie e le vicende di Totò.

Leone XIII, il primo Papa ripreso da una cinepresa

I Papi e il cinema

I Papi si sono più volte soffermati sull’arte del cinema. Il primo Pontefice ad essere ripreso da una cinepresa è Papa Leone XIII che nell’enciclica Rerum Novarum prende in esame il tema delle profonde trasformazioni della società moderna. È il 26 febbraio del 1896 e un operatore varca le soglie del Palazzo apostolico per filmare il Papa nell’atto di benedire. Nel 1929, nell’enciclica Divini illius Magistri, Pio XI riconosce il valore educativo, divulgativo ed evangelizzatore del cinema. Nel 1936, l’anno in cui viene proiettato “Tempi moderni”, Pio XI dedica al cinema un’intera enciclica, Vigilanti cura. “È indiscutibile – scrive il Pontefice – che fra i divertimenti moderni il cinema ha preso negli ultimi anni un posto d’importanza universale”. Il cinema, osserva, è “diventato la più popolare forma di divertimento, che si offra, per i momenti di svago, non solamente ai ricchi, ma a tutte le classi della società”. Si deve “vigilare e lavorare”, sottolinea Pio XI nell’enciclica Vigilanti Cura, perché il cinema “si trasformi in prezioso strumento di educazione ed elevazione dell’umanità”. Pio XII prosegue questa riflessione e nel 1955, ai rappresentanti del mondo cinematografico, indica questa urgenza: “la necessità che l’arte cinematografica venga convenientemente studiata nelle sue cause e nei suoi effetti, affinché anche essa, come ogni altra attività, sia indirizzata al perfezionamento dell’uomo e alla gloria di Dio”. Nel 1959 Papa Giovanni XXIII istituisce la Filmoteca Vaticana con lo scopo di raccogliere e conservare il materiale filmato sulla vita della Chiesa. Nel 1965 Paolo VI all’udienza generale si rivolge in particolare agli operatori del cinema e dello spettacolo: “date alla vostra arte – afferma – le ali del genio, della bellezza, dell’energia spirituale”.

Giovanni Paolo II, nel corso del suo Pontificato, si sofferma più volte sul valore della “settima arte”. “Il cinema con le sue molteplici potenzialità – si legge nel Messaggio per la XXIX Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali – può divenire valido strumento per l’evangelizzazione”. Nel 2011 Benedetto XVI rivolge queste parole ad un gruppo di artisti provenienti anche dal mondo del cinema: “Non scindete mai la creatività artistica dalla verità e dalla carità, non cercate mai la bellezza lontano dalla verità e dalla carità, ma con la ricchezza della vostra genialità, del vostro slancio creativo, siate sempre, con coraggio, cercatori della verità e testimoni della carità”. Anche Papa Francesco ribadisce l’importanza del grande schermo. Ricevendo in udienza il 7 dicembre del 2019 i membri dell’Associazione cattolica Esercenti Cinema-Sale della Comunità, sottolinea che il cinema “soprattutto nel dopoguerra ha contribuito in maniera eccezionale a ricostruire il tessuto sociale con tanti momenti aggregativi. Quante piazze, quante sale, quanti oratori, animati da persone che, nella visione del film, trasferivano speranze e attese. E da lì ripartivano, con un sospiro di sollievo, nelle ansie e difficoltà quotidiane”. Parole che si possono proiettare anche nel futuro. Anche dopo questo tempo, segnato dalla pandemia, il cinema potrà rivelarsi uno degli strumenti capaci di “ricostruire il tessuto sociale con tanti momenti aggregativi”, per ripartire dopo la crisi.

CLICCA QUI PER ASCOLTARE IL PODCAST DELLA PUNTATA DI DOPPIO CLICK

I Pontefici e il lavoro

La questione del lavoro è stata al centro del Magistero di vari Pontefici. Papa Giovanni XXIII, nel Radiomessaggio del 1960 per la festa di San Giuseppe Artigiano, sottolinea l’affetto e la vicinanza della Chiesa a tutti i lavoratori, ovunque si trovino a svolgere le loro funzioni: nelle case, nelle fabbriche, nelle scuole. La Chiesa, afferma il Pontefice, è vicina in particolar modo a coloro che svolgono anche nel nascondimento, i lavori più duri, quei lavori che molti considerano di poco valore. Ugualmente è vicina a coloro che il lavoro lo cercano, a coloro che l’hanno perduto. Benedetto XVI, durante la Santa Messa del 19 marzo 2006, indica una necessità: nel lavoro l’uomo trovi sempre un mezzo e mai un fine, affinché di esso non diventi schiavo. Durante la  visita pastorale a Genova nel 2017, Papa Francesco incontra i lavoratori dell’Ilva. E ricorda come il lavoro sia il centro di ogni patto sociale e non un mezzo per il consumo. Il lavoro così inteso porta con sé i valori come la dignità,  l’onore, il rispetto, la libertà e il diritto. Il lavoro, così inteso, è quel lavoro chiesto e pregato a Dio, un lavoro degno del valore di ogni uomo.

Ascolta la scheda di Silvia Giovanrosa

Moderne “catene di montaggio”

Le classiche catene di montaggio, rappresentate nel film “Tempi moderni”, in sostanza oggi non esistono più. Ci sono però alcune categorie che continuano a sperimentare la ripetitività di alcuni tipi di lavoro. E’ il caso dei riders, fattorini che ogni giorno consegnano pacchi o cibo. Un’attività che è esplosa, ancora di più, durante la pandemia e che ha riproposto il tema dei diritti di questi lavoratori. Alessandro Guarasci ha incontrato uno dei loro. Si tratta di Antonello Badessi, che fa parte dell’associazione Union Riders Roma.

Ascolta l’intervista ad Antonello Badessi

Quello dei riders – sottolinea Badessi – è un lavoro ripetitivo. “Tempi Moderni” è la fotografia di un’epoca, e precorreva i tempi. Adesso siamo ancora più avanti. Se organizzato meglio e se meno legato alle multinazionali, il lavoro dei riders – ricorda infine Badessi – potrebbe avere un volto più umano.

CLICCA QUI PER ASCOLTARE IL PODCAST DELLA PUNTATA DI DOPPIO CLICK