8 marzo: più donne istruite ma meno società educate a riconoscerle

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in molte parti del mondo. La celebrazione si tiene negli Stati Uniti d’America a partire dal 1909, in alcuni Paesi europei dal 1911 o dal 1922.

Donne lavoro e pandemia

Nel 2020 la categoria più colpita dalla crisi economica causata dal Covid-19 è stata proprio quella femminile: secondo l’Istituto italiano di statistica su 101.000 posti di lavoro persi nel 2020, 99.000 erano occupati da donne. E’ accaduto perché maggiormente impiegate in settori come i servizi, lavori non protetti o precari. Stando al report “Women’s work, housework and childcare before and during Covid-19” di giugno 2020, un terzo delle lavoratrici si è licenziato per concentrare le proprie energie sulle incombenze famigliari.  Le donne, oltre all’impiego, si occupano del “lavoro non retribuito”: come l’assistenza ai famigliari fragili, la crescita dei figli e i lavori domestici. Secondo uno studio dell’Onu, la media mondiale è di 4.1 ore al giorno di lavori non retribuiti per la donna, 1.7 in media per gli uomini. E guardando all’Europa, secondo i dati dell’Ocse di gennaio 2020, le italiane, in media, trascorrono 5.1 ore al giorno per lavori domestici o di assistenza, mentre gli uomini 2,1 ore. Si tratta per le donne del dato più alto in Ue:segue l’Ungheria con 4.5 ore al giorno; la Polonia con 4,4; la Spagna con 4.3; la Germania con 3.8, la Francia con 3.9, come in Finlandia. In Svezia la media è di 3,4 ore al giorno.  

L’ingiustizia del gap salariale

Un ulteriore ostacolo al lavoro femminile è il gender pay gap: le europee guadagnano il 14,1 per cento in meno rispetto ai colleghi di scrivania, quindi a parità di lavoro svolto. Oltre a una differenza di stipendio, che le impoverisce, alle donne sono precluse le stanze dei bottoni, cioè ruoli, al di là di assegnazioni di incarichi, che permettano reali decisioni. Al mondo si distinguono gli Stati del Nord Europa: in Finlandia si contano il 30 per cento di donne Chief Executive Officer, in Svezia il 36 per cento, in Norvegia il 41 e in Islanda il 44 per cento. Nel 2003 la Norvegia è stato il primo Paese al mondo ad aver fissato una quota di genere per i Consigli di amministrazione (Cda): per legge, entro il 2008 le aziende pubbliche dovevano avere almeno il 40 per cento di donne.  

Scolarizzazione al femminile

Lo scenario mondiale della scolarizzazione negli ultimi decenni presenta una novità fondamentale, non ristretta ai soli Paesi ad economia avanzata: dopo che, fino alla fine del XIX secolo, le donne erano state per lo più escluse dagli istituti di educazione superiore ed accademica, dalla seconda metà del XX secolo si osserva una crescita costante dei tassi di partecipazione femminile alla formazione. Ed è importante rilevare che accade non solo a livello dell’educazione di base ma anche nei percorsi di istruzione secondaria e universitaria, di specializzazione. Nel Rapporto UNESCO del 2000 si legge che tra il periodo 1950-1977, la percentuale di donne tra gli iscritti all’istruzione terziaria –     difficile da conquistare da parte di categorie svantaggiate – passa in Europa dal 40 al 53; in Nord America dal 32 al 55; in Africa dal 21 al 38; in Asia/Oceania dal 17 al 40; in America Latina dal 24 al 48. Questo quadro corregge in modo sostanziale la disparità che caratterizzava la prima parte del XX secolo, quando più della metà delle nazioni registrava tassi di analfabetismo superiori al cinquanta per cento e, tra gli analfabeti, una presenza di donne sistematicamente maggiore di quella maschile. Si tratta di passi in avanti fatti in adesione al principio della “eguaglianza d’opportunità e di trattamento” sancito dalla Convenzione UNESCO contro la discriminazione nell’educazione del 1960.

Restano gap preoccupanti

Se in termini globali la questione della parità tra uomini e donne di fronte all’istruzione sembra in via di superamento, gli ultimi rapporti sulla condizione delle donne nel mondo indicano che esse subiscono ancora in molte aree una persistente disuguaglianza, generata dall’intreccio tra genere, descolarizzazione e marginalità sociale, come si legge nei rapporti delle Nazioni Unite che sottolineano che tutto ciò influisce negativamente non solo sullo sviluppo delle persone ma anche sullo sviluppo economico e sociale di quelle nazioni.

Istruzione, formazione, educazione sono dunque termini di un dibattito che deve investire tutta la società e che diventa più importante ancora in una fase di crisi sanitaria, economica, sociale. Ne abbiamo parlato con la professoressa di Antropologia culturale Gioia di Cristofaro Longo, che ha fondato e presiede la Libera Università dei Diritti Umani:

Ascolta l’intervista con Gioia Di Cristofaro Longo

La professoressa Longo parla di gap nella società da colmare con un processo di educazione al nuovo ruolo della donna che non si è ancora compiuto. Da una parte le donne studiano molto di più e sviluppano competenze, dall’altra c’è una fetta di mondo maschile che non accetta tutto ciò. Siamo nell’ambito del dramma quando l’uomo rifiuta la nuova identità femminile e il dirito di scegliere delle donne arrivando ai femminicidi. Ma non c’è solo l’aspetto più esasperato di questa difficile accettazione dei nuovi ruoli femminili. La professoressa Longo sottolinea anche che nell’ambito universitario, seppure moltissime donne per esempio in un Paese come l’Italia arrivano a livelli alti di formazione e di ricerca, al momento per quanto riguarda i professori ordinari la presenza femminile non arriva al trenta per cento. L’antropologa afferma che serve ancora una rivoluzione culturale per riconoscere le donne che hanno grandi competenze ma che vengono sempre viste come coloro che possono mettere a disposizione della società queste competenze lasciando che sia un uomo sempre e comunque, anche se di livello inferiore in termini di conoscenze, in ruoli apicali. Longo ricorda alcune specificità femminili sottolineando come sia bello e importante non perdere queste specificità. Cita ad esempio l’attitudine  della donna alla cura. Si tratta di una potenzialità da riconoscere e valorizzare ma non lasciando – come troppo spesso accade – che questo significa che la donna sia pensata a servizio di un uomo, in funzione dell’uomo. E c’è poi un altro aspetto importante: quello delle indubbie capacità relazioni delle donna, se si parla di caratteristiche di genere che indubbiamente poi hanno delle eccezioni. Da antropologa, Longo sottolinea che in particolare la maternità “costringe” la donna ad una relazionalità in primis con i figli e con gli altri componenti della famiglia che richiede un esercizio prezioso. 

Ponti di fratellanza

L’antropologa ricorda come il Pontificato di Papa Francesco insegni a gettare ponti, l’antropologa sottolinea il coraggio di Francesco che si riassume citando il Documento di Abu Dhabi o il viaggio in Iraq. Sottolinea l’importanza del suo messaggio di dialogo e di fratellanza per ogni società e spiega quanto ci sia da fare all’interno della società perché le donne possano contribuire con la loro capacità di dialogo. Troppo spesso, la decisione alla fine di un processo che ha visto una tela di dialogo intessuta da una donna spetta a un uomo.  E l’antropologa spiega che c’è una sorta di educazione da fare ancora sulle donne perché imparino a protestate quando qualcuno scippa il lavoro da loro fatto e perché non scambino per contributo di pace il non protestare. E’ bello – sottolinea- che le donne siano proiettate al bene ma devono parlare e protestare altrimenti le cose non cambieranno mai. In definitiva, Longo sottolinea che se in termini di formazione le donne hanno fatto passi in avanti, c’è ancora tanto da fare in termini di educazione degli uomini, della società e delle donne stesse. 

A proposito del gap nel campo della scienza e della tecnologia, Longo afferma che senz’altro è importante che ci siano più donne a studiare queste materie ma spiega anche che c’è bisogno delle donne e della sensibilità e del senso critico delle donne se pensiamo che l’invadenza della tecnologia nelle nostre vite ci chiama a una profonda riflessione. Le donne dunque – sottolinea – possono essere preziose nel necessario processo di “umanizzazione della tecnologia”.  

Gli agghiaccianti dati sulle violenze e l’aumento nei lockdown

A livello mondiale, la maggior parte delle vittime di omicidio è di sesso maschile, ma è particolamente triste scoprire che le donne hanno più probabilità di morire per mano di qualcuno che conoscono. Secondo uno studio delle Nazioni Unite, infatti, il 58 per cento degli eccidi di donne è stato commesso dal partner, da un ex partner o da un familiare. Nel mondo, si verificano 140 femminicidi ogni giorno. In Asia avviene il maggior numero totale di omicidi di donne, con 20.000 casi registrati ogni anno ma priam della pandemia, che sembra purtroppo dover aggiornare al rialo i numeri.

Ci sono poi le violenze sessuali:  a livello globale circa 15 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni hanno subìto violenza sessuale. Nella maggioranza dei Paesi le adolescenti hanno più probabilità di essere stuprate dal partner o da un ex partner.

All’inizio di aprile, più di metà della popolazione mondiale affrontava il lockdown, e donne con partner violenti come Monica si sono ritrovate intrappolate in casa con i loro carnefici e tagliate fuori dal sostegno di amici e familiari. Nei mesi successivi all’inizio dello scoppio dell’epidemia UN Women, l’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, ha avvertito della presenza di una pandemia ombra, mentre ogni tipo di violenza contro le donne e le ragazze si intensificava, soprattutto la violenza domestica.

Le donne rifugiate e sfollate erano maggiormente a rischio di violenza di genere (GBV) anche prima del COVID-19. La pandemia ha aumentato la loro vulnerabilità. La Colombia in particolare ha denunciato il fenomeno delle violenze subite dalle donne venezuelane rifugiatesi nel vicino Paese: il ministero della Salute della Colombia ha riferito un aumento di quasi il 40 per cento degli incidenti di violenza di genere che hanno colpito la popolazione venezuelana tra gennaio e settembre del 2020, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il dramma dei femminicidi in Italia

In Italia sono 7 i femminicidi dall’inizio del 2021, più di uno a settimana. Un dato che si unisce a quello del 2020 su cui pesano i lunghi mesi del lockdown. Secondo i dati dell’Istat nei primi 6 mesi 2020 i femminicidi sono stati il 45 per cento del totale degli omicidi, contro il 35 per cento dei primi sei mesi del 2019. Questa percentuale è salita al 50 per cento durante i mesi di marzo e aprile. Sono diminuiti gli omicidi e, in percentuale, sono aumentati gli omicidi.  La maggior parte dei delitti e delle violenze, il 90 per cento, è avvenuto all’interno delle mura domestiche per mano di partner e conviventi. Fra i partner, nel 70 per cento dei casi l’assassino è il marito, mentre tra gli ex prevalgono gli ex conviventi e gli ex fidanzati. Nel rapporto del Servizio analisi criminale della Polizia italiana si trova conferma di questi dati: le vittime di sesso femminile sono passate da 111 del 2019 a 112 del 2020, le donne uccise in ambito familiare sono salite da 94 del 2019 a 98 dell’anno scorso.