Chiesa Cattolica – Italiana

70 anni fa la scommessa di pace in Europa: nasceva la Ceca

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 18 aprile 1951 si firmava il Trattato di Parigi che istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) su iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e Robert Schuman, del  cancelliere tedesco Konrad Adenauer e del primo ministro italiano Alcide De Gasperi. Lo scopo dichiarato era di mettere in comune le produzioni di due materie prime importanti  in un’Europa di sei Paesi: Belgio, Francia, Germania ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Dopo la storica Dichiarazione di intenti unitari di Robert Schuman nel 1950, la nascita della Ceca veniva avviata come il passo iniziale di un processo federale europeo. Si è trattato di un passo decisivo e coraggioso come spiega l’economista, docente in diversi atenei internazionali, Paolo Guerrieri:

Ascolta l’intervista con Paolo Guerrieri

Si apriva l’orizzonte di integrazione europea

Guerrieri ricorda che la proposta della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, ideata da Jean Monnet e annunciata da Robert Schuman, allora ministro degli Esteri francese, fu rapidamente accettata da tutti i Paesi che ratificarono il Trattato in meno di un anno. Entrò in vigore il 23 luglio 1952. Di fatto, la Ceca è stata l’istituzione che ha precorso la strada del Trattato di Roma del 1957, con il quale è stata costituita la Comunità economica europea, divenuta Unione europea nel 1992. Ma soprattutto Guerrieri sottolinea che, proprio in  occasione della firma della Ceca nel 1951, tra gli Stati membri, vennero sottoscritti anche una serie di protocolli collaterali sui privilegi e le immunità della Comunità che si stava creando, sullo statuto della Corte di Giustizia e del Consiglio d’Europa. Si è trattato  -afferma Guerrieri – di dar vita in nuce a forme istituzionali fondamentali per quella che sarebbe divenuta l’attuale Unione europea.

Una scelta economica come strategia politica

La scelta del settore carbo-siderurgico – afferma Guerrieri –  era giustificata da molti fattori: innanzitutto la posizione dei principali giacimenti delle risorse, situati in una zona di confine piuttosto ampia tra Francia e Germania, (bacino della Ruhr, Alsazia e Lorena) zona tra l’altro oggetto di numerosi e sanguinosi conflitti in passato e di lunga contesa. Inoltre l’oggetto dell’accordo era una risorsa fondamentale per la produzione di armamenti e materiale bellico, che impediva un riarmo segreto quindi a entrambe le nazioni coinvolte. Dietro l’aspetto puramente economico, dunque, – ribadisce l’economista – si nascondeva la volontà di riunire i vecchi nemici ancora sconvolti dagli orrori della seconda guerra mondiale, controllando la produzione del carbone e dell’acciaio che erano le materie prime dell’industria bellica. In sostanza, avveniva quello che fino ad allora sarebbe stato impensabile: il rinvio della politica specifica di ciascuno stato alla comunità nascente, con una parziale abdicazione della propria sovranità in quel limitato settore. E Guerrieri mette in luce proprio questo fattore estremamente signficativo: da tale specificità nasce la struttura della comunità come organismo sovranazionale.

Le adesioni e i vincoli

Il trattato instaurò un mercato comune del carbone e dell’acciaio – spiega Guerrieri – abolendo le barriere doganali e le restrizioni quantitative che frenavano la libera circolazione di queste merci; soppresse nello stesso modo furono tutte le misure discriminatorie, aiuti o sovvenzioni che erano accordati dai vari Stati alla propria produzione nazionale. Il principio di libera concorrenza permetteva il mantenimento dei prezzi più bassi possibili, pur garantendo agli Stati il controllo sugli approvvigionamenti. Il mercato venne aperto il 18 febbraio 1953 per il carbone ed il 1º maggio dello stesso anno per l’acciaio. Oltre a Francia e Germania, erano interessati pure gli Stati del Benelux, anch’essi produttori di carbone ed acciaio, oltre che Stati confinanti delle due nazioni principali e ovviamente interessati dalla risoluzione di conflitti franco-tedeschi. Secondo Gurrieri, è innegabile che in quella fase storica è stata la Germania che era uscita sconfitta dalla guerra e che aveva puntato moltissimo sull’industria siderurgica a fare il salto più coraggioso, anche se in realtà si trattava di una grande novità per tutti.

Il no del Regno Unito

Al momento dei colloqui preparatori e poi ancora un anno dopo, al momento dell’entrata in vigore, Londra oppose il proprio rifiuto di partecipare. Guerrieri si sofferma su quella scelta ricordando che poi nel 1973, dopo anni che definisce di “anticamera”, il Regno Unito entrò a far parte dell’avventura di integrazione europea, anche se mantenne sempre uno status sui generis. Poi già negli anni Ottanta – puntualizza Guerrieri – all’epoca del governo di Margareth Thatcher è cominciato un processo di revisione critica della decisione, che nel 2016 è sfociato nel referendum sulla Brexit. 

L’obiettivo dell’Italia

L’economista Guerrieri prendendo in considerazione in particolare l’Italia, ricorda come il Paese non fosse particolarmente interessato alla produzione di due materie prime in cui non si distingueva affatto, e inoltre il Paese era assai distante dalla zona interessata dall’Accordo, confinando soltanto con uno degli Stati membri, la Francia, ma in una regione completamente differente. Ma – chiarisce Guerrieri – Alcide De Gasperi, riteneva la futura Ceca un ottimo sbocco per rinvigorire la disastrata economia italiana e reinserire il Paese nelle situazioni politiche ed economiche internazionali, distaccandosi totalmente da altri Stati, fra tutti il Regno Unito, che rifiutavano in toto il progetto non ritenendolo conforme agli interessi e alle aspettative nazionali. Ciò – prosegue – diversificò la struttura della nuova comunità e di quelle che nasceranno di lì a poco nel 1957 (Euratom e Cee): non precisamente comunità internazionali, ma comunità dotate di poteri propri e propria assemblea munita di poteri consultivi e di controllo politico, pur se nel settore particolare di ciascuna.

In questi giorni l’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa

Lunedì alle 13.00, in conferenza stampa da Bruxelles, i copresidenti del comitato esecutivo presenteranno la nuova piattaforma digitale della Conferenza sul futuro dell’Europa, avviata dalle istituzioni Ue il 10 marzo 2021 per progettare un’Europa all’altezza dei tempi. La piattaforma digitale è in sostanza uno spazio multilingue online per raccogliere i contributi dei cittadini che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha assicurato che “saranno ascoltati per poi agire”. 

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti