35 anni dopo Chernobyl, tra ferite ancora aperte e timori

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

La consapevolezza di quanto accaduto non arrivò in quelle ore e neanche il giorno dopo. Passò del tempo, abbastanza per comprendere come si trattasse di una prima, drammatica volta. L’incidente nucleare di Chernobyl del 26 aprile 1986 è un evento storico di indelebile memoria per più di una generazione. Sono passati sette lustri da allora, ma le conseguenze sono ancora ben visibili nelle storie di numerosissime persone. Nel loro presente, nel recente passato. Negli interrogativi su un futuro dove, a livello globale, simili incidenti potrebbero nuovamente verificarsi.

Cosa accadde 35 anni fa 

Secondo la versione maggiormente accreditata, durante l’esecuzione di un test di simulazione di guasto al sistema di raffreddamento del reattore numero 4 (non il primo, altri ne erano stati fatti negli anni precedenti), per un errore umano le barre di uranio del nocciolo del reattore si surriscaldarono, provocando la fusione del suo cuore. Fu raggiunto un valore fino a cento volte superiore al limite stabilito. L’improvvisa ondata di energia provocò un’esplosione con rilascio di radioattività superiore alle bombe di Hiroshima e Nagasaki messe assieme. Va detto che già nel 1986 l’Aiea – Agenzia internazionale per l’energia atomica – aveva indicato negli operatori la causa principale dell’incidente. Sette anni dopo, la stessa AIEA rivide l’analisi dell’incidente, attribuendo la causa principale al progetto del reattore, non agli operatori. La conseguenza di quell’incidente, avvenuto poco dopo l’una di notte, fu il rilascio di tonnellate di materiale radioattivo che il vento portò in tutta Europa e raggiunse il Mediterraneo nelle successive due settimane. 

Le conseguenze

I dati sulle vittime dirette ed indirette di quanto accaduto il 26 aprile 1986 a Chernobyl non sono univoci. A distanza di vent’anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità in un rapporto stimò che ci potrebbero essere almeno 10mila morti in eccesso per cancro  imputabili all’incidente di Chernobyl tra le persone appartenenti alle squadre di emergenza, tra gli evacuati ed i residenti delle regioni ad alta e bassa contaminazione di Bielorussia, Russia e Ucraina, le tre regioni maggiormente colpite dell’Unione Sovietica. I numeri di tumori sono ovviamente superiori, considerando anche gli altri Paesi interessati dal materiale radioattivo sprigionato quella notte. Vi sono poi le 116mila persone evacuate subito dopo la tragedia: furono trasferiti tutti i residenti in un raggio di trenta chilometri entro un mese, per lo più con mezzi militari. Un numero almeno doppio di individui è stato poi costretto ad allontanarsi definitivamente dalle zone maggiormente interessate nei mesi ed anni successivi. Tornando alle conseguenze sanitarie dell’incidente, numeri ben più drammatici sono quelli presentati dai Verdi europei, che stimano in decine di migliaia le vittime. Greenpeace parla di almeno 67mila morti nei 18 anni successivi, mentre il numero di persone decedute subito dopo l’esplosione sarebbe pari a 66 unità. In realtà, accertare il numero delle vittime di Chernobyl potrebbe rivelarsi impossibile. L’insorgenza dei tumori dipende da molti fattori di rischio, ambientali e genetici, e nella maggior parte dei casi non si riesce a stabilire una relazione di causa-effetto. Inoltre, essendo malattie molto diffuse e l’area contaminata molto estesa, neppure l’epidemiologia potrà dirimere l’incertezza rilevando l’aumento di tumori dovuto all’incidente.

Preghiere e appelli dei Papi

Nel Regina Coeli del 4 maggio 1986, Giovanni Paolo II ricordò la celebrazione della Pasqua del Signore delle Chiese d’Oriente, esprimento un particolare pensiero alle popolazioni di Kiev e dell’Ucraina:

Oggi le Chiese d’Oriente celebrano la Pasqua. Vorrei invitare voi qui presenti a unirvi alla preghiera e all’augurio fervido che questa celebrazione sia per esse fonte di gioia e di luce. La risurrezione del Signore costituisce l’evento fondamentale dei cristiani […] A tutti coloro che oggi celebrano la Pasqua, ortodossi e cattolici, rivolgo il mio pensiero, in particolare affetto per coloro che, per qualsiasi ragione, sono nella sofferenza. Penso, con speciale intensità di sentimento, alle popolazioni di Kiev e della Ucraina.

In occasione del quindicesimo anniversario dell’incidente nucleare di Chernobyl, Giovanni Paolo II incontrò poi le associazioni, i movimenti, le famiglie e le parrocchie che hanno ospitato i bambini della regione. In un passaggio del discorso pronunciato il 26 aprile 1981 – due mesi prima del Viaggio Apostolico in Ucraina – il Papa lanciò un forte appello: 

Rievocando i tragici effetti provocati dall’incidente del reattore nucleare di Chernobyl, il pensiero va alle future generazioni che questi bambini rappresentano. Occorre preparare per loro un avvenire di pace, privo di paure e di simili minacce. Ecco un impegno per tutti. Perché questo avvenga, è necessario che ci sia un corale sforzo tecnico, scientifico e umano per porre ogni energia al servizio della pace, nel rispetto delle esigenze dell’uomo e della natura. Da quest’impegno dipende l’avvenire dell’intero genere umano. Mentre preghiamo per le numerose vittime di Chernobyl e per quanti portano nel loro corpo i segni d’una così immane catastrofe, invochiamo dal Signore luce e sostegno per coloro che, a vari livelli, sono responsabili delle sorti dell’umanità.

Cinque anni dopo, all’Udienza Generale del 26 aprile 2006, Benedetto XVI lanciò un nuovo, forte appello, esprimendo apprezzamento per quanti hanno ospitato e curato le vittime del disastro nucleare: 

Proprio oggi ricorre il ventesimo anniversario del tragico incidente avvenuto nella centrale nucleare di Chernobyl. In tale circostanza, sento il dovere di esprimere vivo apprezzamento per le famiglie, le associazioni, le amministrazioni civili e le comunità cristiane che, nel corso di questi anni, si sono adoperate per ospitare e curare adulti e specialmente bambini colpiti dalle conseguenze di quel doloroso evento. Mentre ancora una volta preghiamo per le vittime d’una calamità di così vasta portata e per quanti ne portano nel loro corpo i segni, invochiamo dal Signore luce per coloro che sono responsabili delle sorti dell’umanità, perché con uno sforzo corale si ponga ogni energia al servizio della pace, nel rispetto delle esigenze dell’uomo e della natura.

All’Udienza Generale del 20 aprile 2016, Papa Francesco ha voluto pregare per le vittime ed esprimere gratitudine per quanti hanno aiutato le persone colpite dall’incidente di trent’anni prima: 

Saluto i pellegrini venuti dall’Ucraina e dalla Bielorussia, in occasione della conferenza internazionale nel 30° anniversario della tragedia di Chernobyl. Mentre rinnoviamo la preghiera per le vittime di quel disastro, esprimiamo la nostra riconoscenza ai soccorritori e per tutte le iniziative con cui si è cercato di alleviare le sofferenze e i danni. 

Al termine del Viaggio Apostolico in Giappone e Thailandia, nel dialogo sul volo del 26 novembre 2019, che da Tokyo lo riportava a Roma, Papa Francesco ha risposto a molte domande dei giornalisti al seguito. Shinichi Kawarada, giornalista del ‘The Asahi Shimbum’, nel sottolineare come “il Giappone è un produttore di energia nucleare, cosa che comporta un grande rischio per l’ambiente e l’umanità”, ha chiesto se “dovrebbero essere spente le centrali nucleari”.  Questa la risposta di Francesco: 

“Torno sul possesso di industrie nucleari. Sempre può accadere un incidente. Voi lo avete sperimentato, anche il triplice disastro, che ha distrutto tanto. Il nucleare è al limite. Le armi escludiamole, perché quella è distruzione. Ma l’uso del nucleare è molto al limite, perché ancora non siamo arrivati alla sicurezza totale. Non ci siamo arrivati. Tu potresti dirmi: “Sì, anche con l’elettricità si può fare un disastro per una mancanza di sicurezza”.  Ma è un disastro piccolo. Un disastro nucleare, di una centrale nucleare, sarà un disastro grande. E ancora non è stata elaborata la sicurezza. Io – ma è un’opinione personale – non userei l’energia nucleare finché non ci sia una totale sicurezza dell’uso. Ma io sono profano in questo e dico un’idea. Alcuni dicono che l’energia nucleare è contraria alla custodia del creato, che lo distruggerà e che si deve fermare. È in discussione. Io mi fermo sulla sicurezza. Non ha la sicurezza per impedire un disastro. Sì, è uno nel mondo in dieci anni, ma poi [incide] sul creato: il disastro della potenza nucleare sul creato, e anche sulla persona. Ancora dura il disastro nucleare in Ucraina, per tanti anni. Distinguo dalla guerra, dalle armi. Ma qui dico che dobbiamo fare ricerca sulla sicurezza, sia sui disastri sia sull’ambiente. E sull’ambiente credo che siamo andati oltre il limite, oltre il limite: nell’agricoltura ad esempio i pesticidi, nell’allevamento dei polli – i medici dicono alle mamme di non dare da mangiare i polli di allevamento, perché sono ingrassati con gli ormoni e ai bambini faranno male alla salute –; tante malattie rare che ci sono oggi a causa dell’uso non buono per l’ambiente. Sono malattie rare. I cavi elettrici e tante altre cose… La custodia dell’ambiente è una cosa che va fatta oggi o mai più. Ma tornando sull’energia nucleare: costruzione, sicurezza e custodia dell’ambiente”.

L’incidente di Fukushima 

Poco più di dieci anni fa, l’11 marzo 2011, un terremoto di magnitudo 9 con epicentro a largo della costa nordorientale del Giappone, il più forte mai registrato, generò uno tsunami gigantesco che travolse il Paese. Un’onda distruttiva che danneggiò tre reattori della centrale nucleare di Fukushima, causandone la fusione, in quello che è stato il più grande disastro atomico dall’incidente di Chernobyl. I morti furono oltre 19mila, senza contare l’aumento di tumori alla tiroide nella regione, e oltre 160 mila residenti furono costretti a fuggire dalle loro case a causa delle conseguenze dell’incidente. Da allora il Governo ha speso circa 250 miliardi di euro per ricostruire l’intera regione di Tohoku, con oltre il 75% del suolo contaminato che è stato trasportato in luoghi di stoccaggio appositi. Un’operazione che terminerà, secondo le previsioni, entro il prossimo anno.